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Thu, Oct

Gianni, Jack, Fritz ed Ermanno, la comunità di Pinzolo e Madonna di Campiglio in pochi mesi privata di uomini eccezionali

Val Rendena
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In un paio di mesi, dal 20 giugno, quando ci lasciò Gianni Maturi Carnéra, al 18 agosto, data della tragica fine di Ermanno Salvaterra, con in mezzo la scomparsa di Jack Caola il primo di agosto e quella di Fritz Ruppert  il 14, la nostra comunità, quella di Pinzolo  con Madonna di Campiglio, ha subìto la perdita di persone che hanno contribuito, con le proprie doti, la passione per la propria attività e l’affetto per il proprio paese, alla sua crescita sociale, economica, sportiva, culturale e di immagine: un contadino, un alpinista, un uomo di cultura e un albergatore, tutti accomunati dall’amore e dal rispetto per la natura e per l’ambiente in cui sono vissuti. Ciascuno di loro ha saputo interpretare, sia pure in ambiti differenti e in stagioni diverse, un ruolo importante, da protagonisti, sia in casa, nella gestione del quotidiano e dei problemi locali, sia al di fuori, nei rapporti col resto del mondo.  

Gianni non aveva ancora compiuto 78 anni, pur essendo del ‘45, quando prese la via per l’Aldilà. Uomo dei campi e dei pascoli, dei boschi e delle selve, la sua fu un’esistenza all’aria aperta, libera, tra piante e animali, ritmata dalle pratiche rurali, guidata da quel buon senso, tipico nel mondo contadino, che lo ha fatto apprezzare e benvolere dappertutto. Era l’incarnazione del vecchio adagio “scarpa grossa e cervello fino” dato il fisico possente, un Carnéra appunto, dall’intelligenza pronta, intuitiva, un carattere bonario e tollerante, modi un po’ bruschi quasi a nascondere la delicatezza dell’animo. Trovò il tempo di dedicarsi con competenza e autorevolezza alla gestione pubblica del settore agricolo quale consigliere e assessore comunale, nonché comprensoriale.  E di questo gli dobbiamo essere riconoscenti.  

 

Tutta un’altra storia quella di Jack Caola. Figlio di arrotini emigrati in Inghilterra, aveva visto la luce tra le nebbie di Londra nel 1922 ai tempi di re Giorgio V. Nella metropoli britannica trascorse la gioventù aiutando i suoi, dedicandosi agli studi classici, verso i quali era naturalmente portato, e alla cura di quelle espressioni artistiche e di quegli interessi che lo accompagneranno per il resto della sua vita ultracentenaria. La guerra ne aveva interrotto il percorso scolastico. Dopo soggiorni saltuari in valle, nel 1956 decide di tornarvi definitivamente.  Costruisce a Madonna di Campiglio, ai margini della strada per la Zeledria, “la montanara”, una pensioncina con bar che gestirà con la moglie Agnese per una quindicina di anni, l’unico locale aperto fuori stagione nella località, divenuto il punto di ritrovo e di socializzazione dei pochi residenti, per lo più guide alpine, guardacaccia, guardie forestali e persone impiegate nei pubblici servizi. La saletta, dove intratteneva gli ospiti cantando dolci melodie accompagnandosi con la chitarra, era un ambiente speciale, originale. Lungo le pareti decorate con piccoli capolavori in legno, radici dipinte trasformate in volti di personaggi illustri, ci si poteva incontrare con Churchill o con Stalin, con Hitler e con Degasperi, oltre che con Totò, Claudio Villa e la Magnani, tanto per menzionare qualcuno. Ceduta l’attività si rifugia nel “buen retiro” di Pinzolo dove trova modo di curare i suoi hobbies (pittura, scultura, poesia dialettale, musica, teatro, recupero di antiche usanze) e di partecipare con grande disponibilità, senso civico e rettitudine alla vita sociale del paese. Lo troviamo fra i fondatori del Coro Presanella e del Filò, in chiesa a cantar messa, consigliere comunale in municipio, nel C.d.A e nel Collegio dei sindaci della Famiglia cooperativa. Lascia un patrimonio di opere d’arte. L’auspicio è che possano venir esposte per gli amanti del bello e delle tradizioni locali, magari con una mostra permanente in qualche struttura pubblica a lui dedicata.

Va considerato fra i pionieri della Campiglio moderna, così come il Ruppert, spentosi a 87 anni, due settimane dopo la sua dipartita. Fritz - o Federico, come lo chiamava a scuola la maestra Bottolotti quando faceva l’appello nella pluriclasse di Santa Maria, vicino all’albergo Bonapace - si può ritenere l’epigono di quella minuscola colonia di tirolesi, tutte persone di sua fiducia, chiamate a Campiglio da Fritz Oesterreicher per svolgere determinati servizi nella gestione del Grand Hotel des Alpes (fra loro Hofer, pittore di paesaggi, ma anche di ritratti per gli ospiti, Emanuele Eccli a gestire la reception, il padre di Fritz addetto al salone di barbiere, acconciature e parrucchiere della clientela…). Fritz, una vitalità straripante e un carattere esuberante, ma peperino fin da ragazzo, amava trascorrere gran parte del suo tempo nei prati e nei boschi a inseguire uccelli e animali selvatici, a studiarne le abitudini e a catturarli, magari per poi lasciarli andare.  Così imparò a conoscerli e ad amarli. La caccia, cercare di localizzare col binocolo e contare i camosci sui ghiaioni del Brenta,  portarsi al  l’alba ad assistere al canto e alle evoluzioni del gallo cedrone o del forcello in amore, e al tramonto nelle radure per osservare i caprioli al pascolo era la sua passione, al punto da dedicare a Sant’Hubertus, il protettore dei cacciatori, la struttura alberghiera realizzata nel cuore della stazione turistica, tra l’altro gestita con la moglie in maniera esemplare. Fortissimo sugli sci, dopo aver vinto gran numero di gare giovanili, al momento di indossare la casacca azzurra gli fu trovato un cuore ballerino che gli precluse l’attività agonistica e lo avvio a fare il maestro di sci.

Di Ermanno Salvaterra, caduto sul Campanil alto ad appena 68 anni, e delle sue imprese con gli sci e in roccia, si è scritto e detto di tutto e di più. Noi lo vogliamo ricordare come uomo e come amico. Saggezza, generosità e senso del dovere hanno caratterizzato i suoi comportamenti, la passione per la montagna, per la natura e per le sue creature hanno riempito di gioia e di entusiasmo la sua vita, l’amore per la sua professione lo hanno fatto benvolere da quanti, ragazzi, hanno appreso a sciare da lui. Tanto era severo ed esigente con sé stesso, quanto era tollerante, disponibile, servizievole e generoso con gli altri. Forse qui sta il segreto della sua grandezza.  Indimenticabile Ermanno.